Directions
“Tanto varrebbe prendere un treno a caso, disse, e lui si voltò a guardarla”
L’inizio di questo libro mi ha riportato alla mente il famoso film Sliding Doors, in cui si percorre una storia, ma anche l’alternativa di una scelta diversa da quella presa.
Destino.
Parte tutto da ciò che ci riserva.
E francamente a poco serve chiedersi se prendendo una decisione diversa qualcosa cambierebbe. Non siamo noi i colpevoli di ciò che deriva dalle nostre scelte astratte: l’istante preciso in cui attraversare una strada, prendere l’auto, il treno o l’aereo o semplicemente, decidere di conoscere una persona. Sono scelte istintive che possono differenziare l’esito finale, ma è solo il destino che ne decide l’epilogo, non siamo noi padroni per poterlo fermare, riordinare, comandare.
La storia di Adriano, Mathilde, Leonardo, Mauro e Claudia è la storia di tutti noi, un caleidoscopio di “se” trattenuti in gola, dove il cuore, a volte, ragiona meglio della mente e riesce a trasportare quella razionalità che i traumi e i dolori tolgono, distorcendone il pensiero e togliendole il focus.
“Lo fai per lavoro?
Quella sua sfrontatezza era semplice, adorabile. C’era un tremolio tiepido nella voce, qualcosa che colpì Adriano, lo infranse e lo riempì di una calma buona e insolita.
“Certo, rispose con serietà divertita, Sono un prenditore di treni a caso, dal lunedì al venerdì “
Adriano conosce Mathilde in una sera che conclude una giornata storta, degna di essere dimenticata nell’oblio dei pensieri, in cui stanco e nervoso, perde il treno per rientrare a casa. In una Parigi raccontata nella sua essenza più bella, lei gli lancia una sfida: prendere un treno a caso e seguire una persona sconosciuta. L’istinto e la voglia di sentirsi leggero, lo accompagneranno per tutto il tempo condiviso con quella giovane donna così bella ma bizzarra, una presenza eterea e strana, che toccherà la sua anima tormentata e si poserà nel cuore con un marchio indelebile. Sarà la notte che cambierà per sempre le loro vite, che li unirà e dividerà per sempre. Un tempo trascorso insieme che li libererà e li incatenerà l’uno all’altro in modo definitivo.
“Che avresti fatto questa sera, se non mi avessi incontrata?”
“Avrei aspettato il prossimo treno e sarei rientrato a casa”
“Quindi ho fatto bene a trascinarti via con me?“
Una storia, quella tra Adriano e Mathilde, che si snoda nel mese, forse, più cupo dell’anno, anche per i suoi colori accesi che mutano e si spengono, per la luce meno presente dove il calore cede il posto al gelo e coprirsi diventa una necessità estetica ma anche un gesto che inconsapevolmente regala un senso di protezione, come se l’anima potesse scaldarsi materialmente e far cullare dal caldo le proprie fragilità.
“Lei rideva mentre correvano, lui si sentiva libero come non lo era più stato da anni. Libero di andare più veloce, di non aspettare, di non dosare. Libero di essere egoista e spingersi fino a non avere più fiato”
Poi tutto svanisce in un secondo e Adriano resta intrappolato nell’amarezza dei ricordi che tolgono il sonno, il respiro e la voglia di continuare a vivere, come chiuso in bolla che non permette alla vita di continuare a svilupparsi.
L’inizio di questa storia così attuale, tragica, intensa e dolorosa, ti avvolge di incertezza e fa presagire risvolti inaspettati. Ho subito compreso che sarei arrivata a leggere qualcosa di profondamente triste ma i capitoli, intervallati da due tempi, quello passato e quello presente, così diversi ma in simbiosi, hanno catturato la mia attenzione per carpire dove gli eventi descritti mi avrebbero portato. Ho iniziato questo libro in una sera particolarmente fredda, dopo una giornata difficile e mi sono detta “qualche riga giusto per il piacere di rilassarmi”, ma non sono riuscita a smettere fino a che le palpebre non si sono chiuse al sonno. Più le parole si avvicendavano più la smania di sapere diventava prepotente. E più comprendevo tutta la tristezza, il dolore e la forza che quelle parole portavano con sé.
“Tutto era in superficie, eppure se lo sentiva addosso, dentro. Parte di lui e dei ricordi strascicati che vibravano in sottofondo, mischiati al grumo opprimente di terrore e colpa, di dolore e perdita che non riusciva a scrollarsi via”
NOVEMBRE è un libro impegnativo strutturato da una scrittura complessa e, a tratti, alquanto introspettiva, non solo per la descrizione delle emozioni che compongono il carattere dei suoi personaggi, ma anche a livello scenico: strade, lampioni, colori, musica, tutto viene sezionato, analizzato, reso fondamentale in modo a volte eccessivamente complesso soprattutto per scenari che avrebbero forse, gradito una forma più leggera e più semplice. Solo i personaggi restano in un limbo descrittivo a livello estetico più offuscato. Non è stato facile, infatti dare loro un volto nel mio immaginario.
Decisamente non è una storia da associare al panorama Romance in quanto accezione di un genere romantico, e solo nel finale entra in gioco l’essenza dell’amore che può far battere un cuore e defluire le emozioni belle che ne derivano. E sarà un amore atteso, liberatorio, presente nella figura quasi marginale di Claudia, amica d’infanzia e presenza costante, che salverà Adriano dal suo inferno personale permettendogli di scindere il passato dal presente per concedere più spazio al futuro. Adriano è il vero unico protagonista, con la sua battaglia interiore e la sua resilienza.
Resilienza che tutte le persone, nonostante abbiano conosciuto il senso più profondo del terrore, usano per restare in piedi, cercando di non perdere il proprio equilibrio mentale, trovando il bello a cui aggrapparsi con ogni forza per poter ripartire con una vita senza dubbio marchiata dalla sofferenza, ma degna di essere vissuta.
“Adriano posò i propri singhiozzi nelle mani forti di suo padre, glieli fece sfiorare col suo amore semplice, genuino. Percepì il tocco di Leonardo sulla schiena e seppe che forse, più avanti, quando le luci non avrebbero più fatto male e i rumori e il sangue non avrebbero più tremato sotto le palpebre per ricordargli costantemente cosa fosse il terrore, ci sarebbe riuscito, sarebbe stato bene. Più leggero, di nuovo integro. Forse, persino felice”
E poi c’è la resilienza di una famiglia spezzata dal dolore che arranca per affrontarne uno nuovo, trovando nell’amore la forza per ricomporsi senza essere soffocata dal buio della sofferenza. Una famiglia importante, quella di Adriano, sotto il profilo umano, che aprirà le porte alla salvezza interiore.
Laura Vegliamore ha saputo costruire una storia che racconta le sfaccettature consolatorie dell’amore, a cui affidare l’anima tormentata dai pensieri. Un amore familiare con cui condividere il dolore per renderlo più sopportabile. Una storia attuale e commovente in cui la tristezza ti avvolge da subito e non ti lascia più. Un libro ben editato, ma che per un turbinio di situazioni di difficile comprensione e collocazione temporale, avrei preferito più leggero nei termini di un linguaggio eccessivamente forbito da rallentare e penalizzare la lettura.
“Ora che aveva imparato a condividere l’ossigeno con quel dolore secco, ora che l’aveva fatto uscire e guardato in faccia, assaporato fino in fondo, sentiva di poterlo prendere in mano e stringere senza avere paura di bruciarsi”
Una storia emotivamente potente in cui un finale rassicurante aprirà la scena, finalmente, alla speranza, in una Roma che saluta definitivamente Parigi, e diventa futuro.
Wanessa