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Data di Pubblicazione 3 Novembre 2020

Estratto
«Mi sono innamorato di te dalla prima volta che ti ho baciata e con gli occhi mi supplicavi di non farlo» le rivelai riprendendo fiato.
Ormai avevo deposto le armi. Tutte. Anche quelle che con lei non ero mai riuscito a brandire.
Lei si immobilizzò, e con sé fermò anche il tempo, i respiri, il battito cardiaco.
«Io mi sono innamorata di te da quando a sedici anni ti avevo visto disegnare sulla panchina alla fermata del pullman.»
Ricordavo quel disegno, ricordavo quella panchina: un sole stilizzato, a forma di girandola, mezzo coperto dalle nuvole. Era una stupidaggine, uno schizzo senza importanza.
«Un sole invisibile» chiarì, in affanno.
Un sole invisibile.
Cazzo.
Eri tu quel giorno, Fiona?
Eri tu il folletto biondo e mingherlino che già mi guardava come un eroe, anche se non avevo ancora salvato bambini dai binari delle metropolitane. Eri quella vespina fastidiosa che aveva interrotto i miei pensieri bui e che, per un attimo, mi aveva fatto pensare che non fosse tutta persa la mia vita, che ci fosse ancora qualcosa in cui credere per renderla bella.
Forse mi stavo sbagliando: non ero più così sicuro che il destino non ci avesse messo lo zampino in mezzo a tutto questo caos.
Agguantammo quelle parole d’amore e le archiviammo nel nostro petto. Lei riprese a ondeggiare su di me, ma era un moto lento, sinuoso. Muoveva solo il bacino, il ventre, come una danza ipnotica. Mi portò in un posto esotico, lontano da Torino, dai suoi palazzi, dalle sue colline.
Mi stava spingendo verso i confini del mondo, in un luogo che sapeva di deserto, di sabbia, di vento e di sole.
Bruciava davvero.
Le presi due ciocche con una mano, con l’altra le afferrai la gola, costringendola a sollevare il mento e a guardarmi negli occhi. Vennero subito rapiti da quelle due lune, un paio di iridi fluorescenti in mezzo a una nebbia scura, nonostante di giorno sembrassero fatte d’ambra.
Era tornata la mia strega.
La pianta rampicante ora si era arrampicata su di me, aggrappata alle spalle con le mani, allacciata ai miei fianchi con le cosce, vincolata a me nell’intimità. Sbatté le palpebre, soggiogata dal proprio piacere. Una smorfia che la fece tornare un po’ bambina e un po’ folletto, quell’espressione che avevo notato in treno, tra Milano e Torino. Ma ora non era raggiante, era esplosiva. Era un sole molto poco invisibile, che avrebbe saputo incendiare l’intero Pianeta.
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